Editoriale: “Impact investing: è giunto il momento?”

Gabriele Iannilli
Responsabile Editoriale
Global Thinking Foundation

Sarà veramente giunto il momento oppure stiamo correndo il rischio concreto di affogare in un nuovo mare di regole? La domanda sorge spontanea. Di sviluppo sostenibile se ne parla ormai da decenni soprattutto in riferimento alle multinazionali delle varie materie prime e ai loro metodi di sfruttamento dei territori e delle popolazioni ricchi di tale materie, ma mai come in questi ultimi anni i vari slogan sono seguiti da azioni concrete per far aumentare la sensibilità di imprese, società finanziarie e risparmiatori verso l’ambiente e il sociale facendo molta attenzione alle performance per evitare di alimentare ingiustificate preoccupazioni.

In questo particolare contesto si inserisce la definizione  elaborata nel 2013 dai Soci del Forum per la Finanza Sostenibile secondo la quale “l’Investimento Sostenibile e Responsabile mira a creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso attraverso una strategia di investimento orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo” o ESG, dall’inglese Environmental, Social and Governance.

L’impact investing è quindi una strategia di investimento sostenibile o SRI (Sustainable and Responsible Investment) in imprese, organizzazioni e fondi realizzata con l’intento di generare un impatto sociale ed ambientale misurabile ed in grado, allo stesso tempo, di produrre un ritorno economico per gli investitori. Nel dettaglio vengono esclusi dalle strategie alcuni singoli settori economici per concentrarsi esclusivamente su altri. Tra le esclusioni esplicite, determinate sulla base di principi e valori, rientrano i settori delle armi, della pornografia, del tabacco, dei test sugli animali, dei combustibili etc. Tra le peculiarità salienti possiamo invece annoverare la volontà di generare un impatto positivo dal punto di vista sociale ed ambientale, orientandosi su alcuni temi specifici quali l’integrazione e inclusione, l’housing sociale, la salute, i servizi educativi e l’ambiente.

La categoria ambientale annovera diverse aree di intervento quali le energie rinnovabili, l’accesso alle risorse idriche, il riciclo e gestione dei rifiuti, l’agricoltura sostenibile, la riforestazione e la gestione delle foreste.

Il settore, dopo anni di anonimato, è in piena espansione e le implicazioni positive non mancano. Gli investitori sono attratti sempre più dal fatto che lo sviluppo e i rendimenti debbano in primo luogo rispettare un equilibrio sociale e naturale. Queste condizioni basilari stanno portando sia ad una ricca offerta di prodotti e servizi che sposano la filosofia ESG sia a rendimenti che dimostrano come ESG non significhi affatto minor rendimento. Avere un rendimento da un investimento sostenibile presenta un rischio atteso inferiore se tutte le scelte rispettano i criteri e i vincoli basilari dell’SRI ossia rispetto dell’ambiente, della socialità del lavoro e dei principi di buon governo dell’impresa, inoltre le nuove generazioni di risparmiatoriinvestitori sono molto sensibili al rispetto dei valori umani ed ecologici sopra evidenziati. La valutazione di sostenibilità diventa un elemento chiave per la corretta valutazione della rischiosità degli investimenti la cui crescita è stata di 7 volte negli ultimi 10 anni e un’ulteriore spinta arriverà dall’applicazione totale o parziale di due grandi progetti mondiali: la sottoscrizione nel 2015 da parte di 193 Paesi membri dell’ONU dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) contenuti nella cosiddetta Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e la firma da parte  delle 177 nazioni dell’accordo sul clima a conclusione di COP21 a Parigi, anche se su quest’ultimo pesano le politiche americane di Trump.

La maggiore consapevolezza e sviluppo dei mercati sostenibili sta facendo muovere anche i vari regulators. Imporre regole stringenti ma chiare è l’obiettivo plausibile, inondare tutti gli operatori con obblighi stratificati e vincolanti potrebbe causare un rallentamento e una perdita di valore delle potenzialità di sviluppo.

Da quest’anno è scattato l’obbligo per le società quotate di pubblicare, tra gli altri documenti ufficiali, un report per le ESG. Nonostante la mancanza di uno standard internazionale in merito l’obbligo è il segno della crescente attenzione dell’inclusione della sostenibilità nei piani di investimento.

Tema quello della sostenibilità, preso in carico con fermezza anche dalla Commissione europea che ha pubblicato, nello scorso mese di Marzo 2018, un Action Plan sul Financing sustainable growth.

L’obiettivo è quello di rendere il sistema finanziario ed economico sempre più sostenibile chiarendo ciò che può essere definito come tale attraverso un sistema di classificazione ed etichettatura dei vari prodotti. Gli investitori devono avere piena consapevolezza e trasparenza del prodotto sul quale stanno investendo, e gli intermediari finanziari dovrebbero essere incentivati a sviluppare tali prodotti a partire con politiche ad hoc.

Le idee e i prodotti ci sono e la clientela orientata agli investimenti ESG aumenta, premiando le società virtuose attraverso un crescente numero di transazioni e volumi gestiti. L’auspicio è quello di sviluppare la sostenibilità nel medio – lungo periodo attraverso regole che non sovraccarichino ed ostacolino il mercato stesso ma lo agevolino portando alla realizzazione di un sistema finanziario ed economico sostenibile.

di Gabriele Iannilli

Responsabile Editoriale