Gig Economy: tra libertà e precarietà, la sfida del lavoro del futuro

A cura di Alessandra Orlando , Vicepresidente Global Thinking Foundation

Già nel 2017, al nostro secondo evento annuale, la Global Thinking Foundation invitò il Prof. Alan Krueger – economista di fama mondiale – a discutere di questi temi che, in Italia, erano allora ancora poco conosciuti. Fu una scelta pionieristica che ha segnato il nostro impegno nel portare il dibattito sulla trasformazione del lavoro e sulle nuove forme di economia digitale al centro dell’agenda pubblica.

Perché quando si parla di  Gig Economy si usa un termine  relativamente recente anche se la tendenza verso lavori temporanei, freelance, e contratti a breve termine piuttosto che impieghi stabili e a lungo termine è nata ormai diversi anni fa, diffondendosi soprattutto tra le nuove generazioni.

Il mondo del lavoro è in continua evoluzione: la differenza rispetto  a 50 anni fa è ormai abissale soprattutto su come queste nuove forme di lavoro vengono percepite dalle nuove generazioni.

Nel 1975, un giovane al termine dei suoi studi aveva sicuramente  davanti a sé una strada più lineare e semplice rispetto a quella che ha davanti oggi un diplomato o un laureato.

Il lavoro stabile, con un contratto fisso, era considerato la norma, un obiettivo da raggiungere.Le aziende fidelizzavano i propri dipendenti offrendo loro sicurezza, benefit, una pensione e difficilmente si cambiavano più aziende nel corso della propria vita.

C’era inoltre un un forte senso di stabilità e certezza rispetto alla carriera, che veniva costruita nel lungo periodo proprio all’interno dell’azienda in cui si lavorava. All’epoca  il concetto di “lavoro flessibile” o “autonomo” non esisteva come lo intendiamo oggi. La professione era vista principalmente come un mezzo per guadagnarsi da vivere e costruire un futuro concreto.Oggi le parole d’ordine sono flessibilità e autonomia, ma non sempre queste parole  portano con sé i benefici che ci si potrebbe aspettare.

Grazie a internet e alle piattaforme digitali, lavorare con autonomia e flessibilità è diventato più semplice.Invece di seguire un percorso rigido in una singola azienda, si può  lavorare su più fronti, guadagnando su progetti che si svolgono online oppure offrendo competenze in settori diversi, salvaguardando  il proprio tempo libero organizzandolo come si desidera.

I dati della Gig Economy

Ma, d’altro canto, questa flessibilità  si traduce inevitabilmente in precarietà.

Cresce il numero di lavoratori che dichiara di aver percepito un reddito attraverso l’ intermediazione di una piattaforma digitale. Si contano addirittura 2,2 milioni di italiani rappresentativi del 1,5 % della popolazione tra i 18 e 74 anni di età lavorativa. Più di tre quarti sono uomini e di età compresa tra i 30 e i 49 anni. La maggior parte dei lavoratori su piattaforma ha completato l’istruzione secondaria (45%), mentre quasi il 20% è laureato.

Dei dati raccolti nel 2024  nel rapporto  Fairwork Italia  dell’ Università la Sapienza, redatto con la collaborazione di INAPP e l’Oxford Internet Institute (University of Oxford), ciò che colpisce non è tanto il dato quantitativo in sé quanto invece la varietà di mansioni svolte, che non si fermano più ai noti servizi di consegna di food & beverage dei ciclofattorini ( la metà dei lavori svolti) , ma riguardano anche mansioni di assistenza alla persona e di lavoro domestico che generano cifre sempre più significative di reddito in rapporto al prodotto interno lordo.

Il  50% di questi lavori riguarda la logistica (il 36% consegna di cibo, il 14% distribuzione di merci e pacchi), un altro 10% i servizi domestici e il 5% il trasporto di passeggeri, infine, un 35% è riferibile al crowdwork online (informatici, traduttori).

Il 48% degli intervistati dichiara che il reddito guadagnato svolgendo attività lavorative sulle piattaforme è una parte importante del bilancio familiare e per il 32% è essenziale per soddisfare le proprie esigenze di vita.

Il 50% degli intervistati ha sottolineato la mancanza di alternative nell’accesso al mercato del lavoro.

Quanto alle fattispecie contrattuali, il Rapporto evidenzia una situazione frammentata in diverse forme contrattuali di cui la prevalente è quella del lavoro autonomo con il 57,6% a cui si va aggiunto che il 31% dei gig workers non ha un contratto di lavoro scritto, a conferma che la digitalizzazioni del lavoro  corrisponde spesso ad una deregolamentazione non necessariamente percepita dagli stessi lavoratori come fattore negativo. Il lavoro su piattaforma è inoltre caratterizzato da una connaturata pluri-commitenza. Molti lavoratori operano infatti su più piattaforme, anche nella stessa giornata lavorativa, con forme contrattuali diverse.

Contratti brevi, mancanza di sicurezza sociale (come recentemente ha segnalato anche The Guardian rivelando  il crescente uso dei lavoratori della Gig economy senza diritti di base del lavoro nel settore della vendita al dettaglio, una pratica che viene valutata  preoccupante)  e  il rischio di non avere un reddito stabile sono i lati critici di una realtà che, da una parte, sembra promuovere la libertà e l’indipendenza, ma dall’altra rende la precarietà e le sue conseguenze  uno spettro sempre più concreto.

Non solo: molti giovani si trovano a dover affrontare un panorama lavorativo che non garantisce loro la stessa stabilità e sicurezza economica di un tempo.

La Gig economy presenta infatti significative criticità riguardo all’assistenza sanitaria, poiché i lavoratori, in quanto autonomi, non hanno accesso automatico alle tutele offerte dai datori di lavoro tradizionali, come l’assicurazione sanitaria, e devono farsi carico personalmente di queste spese e dei rischi associati, benché alcune iniziative Fintech e normative stiano cercando di offrire soluzioni personalizzate e tutele, evidenziando la necessità di riforme per garantire condizioni lavorative più eque

Gig Economy e contrattualistica

Molti lavoratori Gig operano senza contratti di lavoro formali e senza garanzie relative alla continuità del lavoro. Questa precarietà si traduce in redditi variabili e, in molti casi, insufficienti per contribuire in modo adeguato ai fondi pensionistici. La mancanza di stabilità lavorativa può influenzare pesantemente la capacità dei lavoratori di pianificare il loro futuro pensionistico, contribuendo a una maggiore incertezza rispetto alla loro sicurezza economica durante la vecchiaia.

I lavoratori della Gig economy spesso non hanno accesso ai tradizionali schemi pensionistici, che richiedono un regolare versamento di contributi. Negli Stati in cui i lavoratori autonomi non sono obbligati a contribuire a un piano pensionistico, molti non effettuano affatto versamenti, col risultato che alla fine della loro carriera professionale potrebbero non avere diritti pensionistici.

Questo crea una generazione di lavoratori che, al raggiungimento dell’età pensionabile, si trova senza un adeguato sostegno economico con preoccupanti conseguenze sociali. Secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato , per un lavoratore dipendente del settore privato con 38 anni di contribuzione, il tasso di sostituzione – ossia il rapporto tra la prima pensione percepita e l’ultimo stipendio – è destinato a calare dall’82,7% del 2010 al 66,3% nel 2070.

La situazione si aggrava ulteriormente per chi ha una carriera caratterizzata da lunghi periodi di inattività o con contribuzioni ridotte, come spesso accade in presenza di contratti a termine, part-time involontari o frequenti interruzioni. Il risultato è una pensione pubblica potenzialmente insufficiente a garantire un tenore di vita dignitoso.

Per i giovani, il quadro è ancora più critico: per maturare una pensione pubblica adeguata, potrebbero dover lavorare fino a 71 anni. Anche in questo caso, l’assegno previdenziale potrebbe risultare molto distante dalle aspettative o dai bisogni reali. In questo scenario, integrare la pensione pubblica con strumenti di previdenza complementare non è solo un’opportunità, ma una necessità. In particolare, i fondi pensione negoziali rappresentano una risposta concreta per chi desidera costruirsi un futuro pensionistico più solido e coerente con le proprie esigenze.

I lavoratori della Gig economy spesso non hanno una formazione adeguata in materia di gestione finanziaria e pianificazione pensionistica oltre spesso a non percepirne l’importanza.

Questo gap di conoscenza rappresenta una barriera alla costruzione di una pensione adeguata.L’effetto della Gig economy sul sistema pensionistico ha anche implicazioni socioeconomiche più ampie. L’aumento del numero di lavoratori in età avanzata senza adeguati diritti pensionistici può tradursi in un maggiore numero di persone in difficoltà economica. Questo non solo influisce sulla qualità della vita degli individui, ma ha ripercussioni anche sul sistema di assistenza sociale e sull’economia in generale.

Conclusioni

In definitiva la Gig economy presenta sfide significative per il sistema pensionistico tradizionale. La precarietà del lavoro e la mancanza di contributi pensionistici adeguati portano a una maggiore incertezza finanziaria per i lavoratori, che potrebbero trovarsi senza un adeguato supporto al momento del pensionamento.

Di sicuro interesse è analizzare  l’evoluzione psicologica tra le generazioni per capire quanto questo cambiamento epocale sia frutto di reale consapevolezza. Se nei decenni passati, come già sottolineato, un posto fisso rappresentava un traguardo di successo, oggi molti giovani si trovano a mettere in discussione proprio questo modello che sembrava intoccabile.

Nella generazione degli attuali boomer, il lavoro stabile era sinonimo di sicurezza, successo e tranquillità. Si cresceva con la consapevolezza che un lavoro fisso portava con sé anche un futuro sereno, con una casa, una famiglia e una pensione.

Per i millennial e la Gen Z, invece, la consapevolezza è ben diversa. Molti giovani di oggi non vedono il lavoro come una mera fonte di reddito, ma come uno strumento per esprimere la propria creatività, il proprio potenziale e i propri valori.

Non solo: la tendenza alla mentalità Yolo, che mira a privilegiare il presente rispetto al futuro, ma soprattutto al passato, oltre ad altri fenomeni come il micro-retirement, costringono a ripensare anche il tempo che nella propria vita si è disposti a dedicare al lavoro.

Tuttavia, questa nuova concezione del lavoro è spesso messa alla prova dalla difficoltà nel trovare impieghi che siano davvero appaganti e che garantiscano una stabilità economica. La sfida per questa generazione è quindi duplice: conciliare la ricerca di un lavoro che dia soddisfazione con la necessità di guadagnare e sopravvivere in un mondo del lavoro sempre più instabile.

La Gig economy, in sostanza, è sicuramente il prodotto di un’evoluzione naturale del mercato del lavoro, che si sta adattando a un mondo sempre più digitale e interconnesso. Se da un lato c’è più libertà e flessibilità, dall’altro c’è anche la sfida di affrontare un mondo del lavoro che non offre le stesse sicurezze che le generazioni passate davano per scontate.

 La vera domanda che resta è: come possiamo trovare un equilibrio tra la libertà di scegliere e la necessità di stabilità? E quindi la vera sfida non è fermare l’evoluzione del lavoro, ma renderla equa: garantire che dietro ogni flessibilità non si nasconda precarietà, e che ogni scelta di libertà si accompagni a diritti e tutele.

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