Il futuro digitale delle banche tra mito e realtà

Gabriele Iannilli
Responsabile Editoriale
Global Thinking Foundation

 

Il fintech avanza! È questa ormai la realtà che ogni giorno viviamo, una realtà frutto di una rivoluzione veloce ed inesorabile alla quale dobbiamo adeguarci sfruttando tutti i vantaggi che essa presenta.

Tale rivoluzione sta provocando un cambiamento epocale nel modo di fare banca; un cambiamento che nel giro di pochi anni porterà la banca tradizionale ad essere un lontano ricordo. Ma da dove deriva questo fenomeno? Quali sono i rischi per l’impresa bancaria? Quali sono le opportunità da sfruttare per continuare a sostenere la clientela in un mondo che cambia così velocemente? Quali sono i vantaggi e le tutele per i clienti?

Il fintech rappresenta senza ombra di dubbio un grande acceleratore dell’innovazione e una grande opportunità per dare impulso allo sviluppo del credito non bancario. Il timore delle banche tradizionali è di veder svanire fette di business sempre maggiori. La minaccia arriva, in particolare, dai giganti del web che si preparano a invadere anche questi mercati e da startup innovative. Nel 2016 (i dati sono di Towers Watson Securities, CB Insights, FTPartners e dell’Annual Fintech Almanac) le start up innovative della finanza e del mondo assicurativo hanno raccolto oltre 28 miliardi di dollari, rispetto ai circa sette del 2012, e nei primi due trimestri del 2017 hanno saputo intercettare oltre 13 miliardi. Alle fintech europee, sempre nel 2016 è andato però solo li 9% degli investimenti (2.6 miliardi circa) mentre il valore del funding di quelle italiane si è fermato a 13 milioni di dollari, posizionando l’Italia solo all’ottavo posto in Europa (fonte dati Dealroom.co). Per sopperire a questo vuoto di mercato nel quale si potrebbero inserire pericolosi concorrenti, diversi grandi operatori del mercato italiano hanno creato dei programmi di sviluppo per creare dei centri di eccellenza per l’innovazione nel settore della finanza e delle assicurazioni. Fra i soggetti selezionati c’è ad esempio un robot advisor che collega in un unico portale tutte le opportunità offerte dalle piattaforme italiane ed europee di peer to peer lending, equity crowdfunding, invoice trading e real estate crowdfunding.

Tutto questo testimonia come le banche siano attente al tema e abbiano iniziato a ritagliarsi nuovi segmento di mercato con la possibilità di incrementare i ricavi. Cavalcare il cambiamento non diventa più una frase di circostanza ma realtà e per sfruttare al meglio l’innovazione le banche possono enfatizzare i diversi punti di forza che le contraddistinguono.

La prima leva è quella della relazione diretta e fidelizzazione della clientela. Nonostante ormai siano passati molti anni dall’inizio dei primi fallimenti bancari (2007) e molte altre banche abbiano attraversato o stanno attraversando gravi crisi, il tasso di abbandono della clientela è molto basso. Le banche hanno una posizione duratura e continua con la propria clientela che gli permette di avere la proprietà di dati critici per lo sviluppo del business. L’utilizzo di tali dati deve ovviamente rispettare tutta una serie di normative. Operare in un ambiente regolamentato, in continua evoluzione che spazia dall’ambito fiscale a quello della privacy, dalla sicurezza all’antiriciclaggio, rappresenta un secondo punto di forza. La Banca è sicuramente un soggetto più adatto alla gestione della regolamentazione e dell’innovazione e i vari regulators sono chiamati ad evitare distorsioni competitive accompagnando l’innovazione con azioni ex-ante che tengano conto dei nuovi strumenti sia per gli operatori che per i clienti che per i regolatori stessi. In questo ambito rientra la definizione di REGTECH (regolamentazione tecnologica).

Il terzo punto di forza riguarda la gestione del rischio. Le banche hanno esperienza e capacità di analisi che altri soggetti non possono al momento raggiungere.

Tutto ciò testimonia come le banche, alle prese con la progressiva riduzione del personale, con la revisione e riduzione del ruolo tradizionalmente svolto dalle filiali, alla ricerca di maggiore efficienza e riduzione dei costi, debbano cercare di tamponare il buco di offerta che hanno contribuito a creare e nel quale le fintech potrebbero minare la loro attività.

Un esempio lo offre Amazon che ha da qualche tempo aperto ai prestiti per i negozianti partner raggiungendo in poco tempo 3 miliardi di dollari di erogato. È un servizio che la società al momento offre soltanto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone e che ha intenzione di estendere anche a Italia, Francia e Spagna. Si tratta di una proposta che potrebbe spiazzare le banche, ancora restie a concedere credito a negozianti, piccoli artigiani e imprenditori. La proposta di Amazon è ancora limitata e un bilancio finale è ancora lontano. Di sicuro rappresenta una sfida nuova per tutto il settore della finanza, che dovrà avere il coraggio di innovare e dare risposte a clienti sempre più esigenti. Clienti che usano la tecnologia e che si aspettano servizi sempre più veloci e di qualità.

Un altro caso molto interessante riguarda Facebook, che nel silenzio quasi totale dei media tradizionali, ha acquistato una licenza bancaria in Irlanda e in qualunque momento potrebbe decidere di effettuare i servizi di una banca. I potenziali clienti in Italia sarebbero i suoi 31 milioni di iscritti, molti di più del principale gruppo bancario.

Facebook acquista quindi una licenza per offrire prestiti personali ai suoi 2,07 miliardi di utenti, ed ha già iniziato a sperimentare in Inghilterra e negli Stati Uniti la possibilità di vendere e ricevere pagamenti direttamente all’interno della sua app. La nuova strategia di Facebook è più importante di quanto sembri. Mark Zuckerberg è sempre stato particolarmente abile ad adattarsi ai cambiamenti politici ed economici. Se cambia strategia, vuol dire che il panorama in cui ci muoviamo non è più lo stesso. In effetti il numero di nuovi accessi su facebook nell’ultimo anno non ha avuto tassi di crescita in linea con il passato. Cosa comporta questa dinamica? Il risultato potrebbe essere che meno accessi portano meno pubblicità al social network e quindi meno capitalizzazione di borsa che potrebbe portare ad uno sviluppo del business futuro nel modo dei pagamenti.

Tutte queste minacce porteranno a vivere in un mondo senza banche? I presupposti sono contrastanti e la chiave del successo per il “vecchio mondo bancario” risiede nella trasformazione della catena del valore. Le banche devono passare dalle transazioni effettuate ai servizi offerti per combattere la riduzione dei margini derivanti dall’attività tradizionale creando valore per cliente e sfruttando le relazioni instaurate e la fiducia creata nel tempo.

Operativamente come si possono raggiungere questi obiettivi ambiziosi e sfidanti? Fermo restando che non è possibile fermare la grande forza dei BigTech (Amazon, Facebook, Google, Apple etc) e che gli stessi in un futuro non molto lontano attaccheranno oltre al retail i segmenti corporate e SME si possono sfruttate joint venture e accordi con nuove fintech creando nuovi servizi di valore frutto di intelligenza artificiale e Analytics.

La realtà della banca tradizionale non esisterà più e il mito della banca senza sportelli diventerà realtà grazie a grandi investimenti digitali e a una completa riqualificazione dei lavoratori.

Di Gabriele Iannilli