LA QUALITÀ DELL’OFFERTA EDUCATIVA COME GENERATORE DI RESILIENZA A CONTRASTO DELLA POVERTÀ EDUCATIVA

MARTINA GANGI
RESPONSABILE PROGETTO FOCUS SUD

La povertà educativa, cioè la mancanza delle competenze necessarie per uno sviluppo adeguato e per farsi strada nella vita, è una mina innescata sul futuro di milioni di bambini e adolescenti italiani.

Nello specifico indica l’impossibilità per i minori di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Nel nostro Paese la povertà educativa priva milioni di bambini del diritto di crescere e di seguire i loro sogni.

È una povertà che nessuno vede, nessuno denuncia, ma che agisce sulla capacità di ciascun ragazzo di scoprirsi e coltivare le proprie inclinazioni e il proprio talento. Le conseguenze sono nell’apprendimento dei ragazzi e nel rischio quindi di entrare nel circolo vizioso della povertà.

Quasi il 25% dei quindicenni è sotto la soglia minima di competenze in matematica e quasi 1 su 5 in lettura, percentuale che raggiunge rispettivamente il 36% e il 29% fra gli adolescenti che vivono in famiglie con un basso livello socio-economico e culturale: povertà economica e povertà educativa, infatti, si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. D’altra parte, notevoli sono le carenze di servizi e opportunità formative scolastiche ed extrascolastiche: solo il 14% dei bambini tra 0 e 2 anni riesce ad andare al nido o usufruire di servizi integrativi, il 68% delle classi della scuola primaria non offre il tempo pieno e il 64% dei minori non accede ad una serie di attività ricreative, sportive, formative e culturali, con punte estreme in Campania (84%), Sicilia (79%) e Calabria (78%). In particolare, il 48,4% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro nell’anno precedente, il 69,4% non ha visitato un sito archeologico e il 55,2% un museo, il 45,5% non ha svolto alcuna attività sportive.
Come già si evince dai dati sopracitati sono la Sicilia e la Campania a detenere il triste primato delle regioni italiane con la maggiore povertà educativa, cioè quelle in cui è più scarsa e inadeguata l’offerta di servizi e opportunità formative. Fanno da contraltare Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, le aree più “ricche” di offerta formativa ed extracurriculare per i minori. Questo il ritratto a chiaroscuro di un’Italia lontana dai target europei, in cui le opportunità per bambini e adolescenti sono esigue sia a scuola che fuori.

A Sud e nelle isole, la percentuale di adolescenti che non consegue le competenze minime in matematica e lettura raggiunge rispettivamente il 44,2% e il 42%, con un picco estremo in Calabria (46% e 37%). In relazione al genere, le disuguaglianze colpiscono in modo particolare le ragazze per la matematica (il 23% delle alunne non raggiunge le competenze minime contro il 20% dei maschi), mentre i ragazzi sono meno competenti in lettura: il 23% risulta insufficiente contro l’11% delle coetanee. Le ragazze e i ragazzi meridionali sono maggiormente svantaggiati sia in matematica che in lettura rispetto ai coetanei settentrionali: la percentuale delle ragazze che non raggiungono le competenze minime in matematica è del 32% al Sud, il doppio delle coetanee del Nord (16%) e la stessa differenza percentuale si riscontra per i maschi meridionali (28%) e i loro coetanei settentrionali (14%). Differenze di genere si osservano anche per le attività ricreative e culturali: il 51% delle minori tra i 6 e i 16 anni non ha fatto sport in modo continuativo contro il 40% dei maschi, mentre questi ultimi leggono meno, fanno poche attività culturali e navigano meno su Internet.

Altro fattore della povertà educativa è l’origine migrante dei genitori: tra i ragazzi migranti di prima generazione il 41% non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica e lettura, incidenza che cala al 31% in matematica e al 29% in lettura per i quelli di seconda generazione.

La povertà educativa in Italia non può essere un destino ineluttabile e non è accettabile che il futuro dei ragazzi sia determinato dalla loro provenienza sociale, geografica o di genere; queste enormi diseguaglianze vanno superate attivando subito un piano di contrasto alla povertà minorile e potenziando l’offerta di servizi educativi di qualità: i dati ci dimostrano che i servizi per la prima infanzia, le scuole attrezzate, le attività ricreative e culturali possono spezzare le catene intergenerazionali della povertà. Serve però uno sforzo comune e coordinato da parte delle istituzioni ad ogni livello e delle stesse comunità locali e l’impegno per sconfiggere la povertà educativa deve diventare prioritario nell’agenda del Governo.

Sicuramente una maggiore offerta di servizi educativi di qualità determina minore povertà educativa che si misura attraverso altri indicatori che vengono spesso sottovalutati come ad esempio il numero delle classi che garantiscono il tempo pieno nella scuola primaria e secondaria: il 68% delle classi della scuola primaria non offre il tempo pieno percentuale che sale all’80% nella scuola secondaria di primo grado (le percentuali maggiori riguardano regioni del sud);

le attività pomeridiane a pagamento e il servizio di mensa, fattore importante per promuovere le competenze cognitive e non cognitive, questo è assente nel 40% delle scuole, con percentuali più alte in

Puglia (53%), Campania (51%) e Sicilia (49%);

le caratteristiche della scuola frequentata, come la qualità delle infrastrutture (agibilità e/o abitabilità, normative anti-incendio e anti-sismiche), la connessione ad internet, la partecipazione ad attività extracurriculari: il 45% dei ragazzi in condizioni socio-economiche svantaggiate che hanno aule con connessioni internet carenti non raggiunge le competenze minime in matematica e il 41% in lettura, percentuale che scende a 43% e 28% se le scuole sono ben connesse. In diverse regioni la percentuale di aule non connesse supera il 30% (Basilicata, Piemonte, Veneto, Lazio, Friuli Venezia Giulia), con una punta di quasi il 40% in Calabria .

Questi dati alquanto preoccupanti hanno scaturito un processo di sensibilizzazione a contrasto del fenomeno con l’obiettivo di eliminare entro il 2030 in Italia la povertà economica ed educativa, sull’esempio dei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibili indicati dalle Nazioni Unite, attraverso il lancio di 3 obiettivi ambiziosi ma realistici:

1. tutti i minori devono poter apprendere, sperimentare, sviluppare capacità, talenti e aspirazioni;
2. tutti i minori devono poter avere accesso all’offerta educativa di qualità;
3. eliminare la povertà minorile per favorire la crescita educativa.

A causa di difficili condizioni economiche infatti molti bambini e ragazzi non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei in situazioni economiche migliori: la povertà educativa risulta più intensa nelle fasce di popolazione più disagiate – non dimentichiamo che in Italia più di 1 minore su 10 vive in condizioni di povertà estrema – e aggrava e consolida, come in un circolo vizioso, le condizioni di svantaggio e di impoverimento già presenti nel nucleo familiare.

Altra questione importante è, inoltre, la connessione molto forte anche tra povertà educativa e i cosiddetti NEET (Not in Education, Employement and Training), ovvero quei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano percorsi di istruzione e formazione. Come in un circolo vizioso, infatti, i bambini e gli adolescenti che nascono in zone dove maggiore è l’incidenza della povertà economica e che offrono poche opportunità di apprendimento a scuola e sul territorio, una volta diventati giovani adulti rischiano di essere esclusi, perpetrando questa condizione per le generazioni successive. D’altra parte, bambini e ragazzi che leggono sempre meno, fanno poco sport e che non sono sottoposti a stimoli culturali, sono invece iperconnessi: nell’ultimo decennio si è assistito a una rivoluzione che ha portato all’aumento esponenziale dei minori che usano ogni giorno la rete. Nel 2008 solo il 13.7% dei bambini e adolescenti siciliani usava tutti i giorni internet, una quota che è passata al 47.7% nel 2018.

I danni provocati in quest’ultimo decennio dall’inerzia della politica, dai mancati investimenti nei servizi per la prima infanzia, nella scuola, nelle politiche sociali, dall’incapacità di varare una norma per riconoscere la cittadinanza ai bambini di seconda generazione sono sotto gli occhi di tutti e hanno colpito soprattutto le regioni del Sud Italia. Insieme alle diseguaglianze intergenerazionali, si sono acuite le diseguaglianze geografiche, sociali, economiche, tra bambini delle aree centrali e delle periferie, tra italiani e stranieri, tra figli delle scuole bene e delle classi ghetto. Si sono divaricate le possibilità di accesso al futuro. E, come se non bastasse, il tutto gravato dal contesto che stiamo vivendo in quest’ultimo anno a causa della diffusione della pandemia globale di Covid-19 e delle conseguenze delle misure di sicurezza adottate dai governi per contenere i contagi, come la quarantena e la chiusura di ogni attività, che hanno dato una brusca frenata all’accesso all’istruzione tout court, in modo particolare tra le fasce di popolazione più svantaggiate di quelli industrializzati, o nelle campagne, mettendo gravemente a rischio il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini. L’istruzione scolare è molto importante ed è necessario che venga garantita sia durante che nel post-pandemia, ma lo stesso vale anche per l’educazione prescolare. La frequentazione degli asili e, ancora prima degli asili nido, dovrebbe essere comunque garantita e incoraggiata, perché frequentare il nido favorisce lo sviluppo cognitivo e non cognitivo dei bambini.

Dunque, la pandemia ha reso ancora più necessario offrire servizi e creare vere opportunità per questi ragazzi.

E intanto l’Italia continua a non avere un Piano Nazionale per l’infanzia e a investire risorse insufficienti in spesa sociale, alimentando gli squilibri esistenti a livello di servizi e prestazioni per l’infanzia e condannando proprio i bambini e le famiglie più in difficoltà ad affrontare da sole, o quasi, gli effetti della crisi.

Pertanto, la misura più urgente resta l’adozione di un piano di contrasto alla povertà assoluta dei minori con misure di sostegno al reddito delle famiglie, accesso gratuito alle mense scolastiche e ad altre opportunità di tipo educativo. L’auspicio è che siano varati i decreti legislativi della riforma della scuola – particolarmente cruciali in primo luogo per quanto riguarda la riforma dei servizi per la prima infanzia – e che siano effettivamente realizzati, con la messa a disposizione delle risorse necessarie ed un monitoraggio serrato, alcuni obiettivi quali l’ampliamento del tempo scolastico, la digitalizzazione, il potenziamento dell’offerta educativa.

È di grande importanza anche il tema della riqualificazione degli spazi urbani degradati, affinché i bambini e i ragazzi possano usufruire di spazi per il gioco, lo sport, le attività culturali e artistiche visto e considerato che vi sono innumerevoli luoghi abbandonati e inutilizzati che potrebbero invece essere restituiti ai bambini per favorire l’attivazione di percorsi di resilienza, grazie ai quali potrebbero di fatto raddoppiare la possibilità di migliorare le proprie competenze.

Ma è necessario ricordarsi che gli interventi per contrastare la povertà educativa non devono in ogni caso riguardare solo le scuole, ma è tutto l’ambiente di vita dei bambini e degli adolescenti a dover giocare il ruolo di “comunità educante”.

L’educazione non può quindi continuare ad essere un tema residuale nell’agenda della politica. È l’asse portante del cambiamento culturale, economico e civile oggi indispensabile per risollevare il Paese dall’emergenza, peraltro in coerenza con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu, che dedica uno dei suoi obiettivi a “assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”, in quanto serve una “educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali”.