Per sopravvivere, i mercati dei capitali devono risolvere i problemi di scarsità del futuro, non del passato

A cura di Anne Richards

CEO Fidelity International

La filosofia di Milton Friedman ha dominato il pensiero economico degli ultimi cinquant’anni. Ma due delle sue idee principali – il monetarismo e la “Dottrina di Friedman” circa il predominio degli azionisti – oggi sono sottoposte a un numero sempre maggiore di sfide.

Nel 1963, Friedman affermava che l’inflazione era un fenomeno monetario, ma oggi possiamo affermare che la relazione tra la politica monetaria e i prezzi dei beni e dei servizi non sarebbe stato un fenomeno prevedibile ancora a lungo. E che il ruolo delle aziende è cambiato. Oggi, alcune aziende sono talmente grandi, globali e potenti da iniziare a offuscare il ruolo dei governi stessi.

Il risultato è che anche i CEO delle maggiori società hanno iniziato ad affermare che gestire le aziende a beneficio esclusivo degli azionisti non è più un’opzione. Ad esempio, lo scorso anno i membri della Business Roundtable, l’associazione statunitense che riunisce i CEO delle principali aziende americane, hanno deciso di privilegiare gli stakeholder rispetto agli shareholder.

Non è una coincidenza se anche l’ultima edizione di un evento come il World Economic Forum Annual Meeting di Davos ha avuto come tema “Stakeholders per un Mondo Coeso e Sostenibile”. Il WEF ha a lungo sostenuto un approccio multi-stakeholder. Tornando con la mente al 1971, il suo fondatore Klaus Schwab, fu uno dei primi a scrivere circa il “capitalismo degli stakeholder” nel suo libro “Modern Enterprise Management in Mechanical Engineering”. L’economia può essere considerata come la scienza della scarsità. E le idee di Milton Friedman sono state in grado di rendere elementi quali la stabilità dei prezzi e l’accesso ai capitali finanziari – i problemi di scarsità della sua epoca – meno scarsi. Al punto, forse, di arrivare ad averne in eccesso.

Nell’ultima metà del decennio, il tasso di malnutrizione è precipitato, gli standard di vita sono migliorati e le persone godono di questi vantaggi più a lungo nel tempo grazie a una maggiore longevità. Ma il costo di tutto questo sta diventando alto. Abbiamo intasato i nostri oceani con la plastica, bruciato le nostre foreste e alterato i modelli climatici.

E abbiamo cambiato la natura della scarsità. Stiamo iniziando a dare un valore a cose come il “rendimento positivo”, il “capitale ambientale” e la stabilità sociale. Friedman può aver considerato queste cose inesauribili ai suoi tempi, ma anche questi elementi hanno dei limiti.

Il mondo di oggi sta affrontando due tipologie di timori, contrastanti tra loro: il timore “economico” che la crescita finirà presto, e il timore “ecologico” che in realtà questa non abbia mai fine. E mentre stiamo esaurendo le cose di cui abbiamo bisogno, stiamo – paradossalmente – allo stesso tempo lottando per smaltire quelle di cui non abbiamo bisogno.

Se il paradigma economico sul quale abbiamo fatto affidamento nel passato ha risolto i problemi della scarsità del passato, i nostri mercati dei capitali devono risolvere i problemi di scarsità del futuro, se vogliono sopravvivere come sistema.

Dobbiamo spostarci verso un’economia circolare, di riutilizzo e riprocessamento. Spostarci da un mondo lineare nel quale produciamo, consumiamo e smaltiamo i prodotti, a uno dove i rifiuti possono rientrare nel sistema produttivo in qualità di materie prime.

E proprio come i consumatori si pongono domande sulla sostenibilità delle proprie abitudini, noi del mondo delle imprese dobbiamo porci delle domande: quali sono i modelli di business più adatti a resistere a questo cambiamento e quali, invece, non sopravviveranno al cambiamento.

Dubito che le nostre misure di benessere economico oggi, come i dati di produzione e il PIL, rifletteranno davvero il successo o il fallimento delle nostre aziende anche in futuro. Il lavoro degli asset manager sarà meno focalizzato sulla ricerca dei migliori ritorni nel breve termine e più sulla scoperta di aziende sostenibili in cui investire.

Ad esempio, se i responsabili politici di tutto il mondo imponessero leggi volte a limitare l’aumento delle temperature di due gradi Celsius, vi sarebbero conseguenze significative. Sia la Bank of England che la Banque de France hanno segnalato che le perdite finanziarie potrebbero raggiungere i 4 trilioni di dollari se non si interviene. Questi sono numeri che un asset manager dovrebbe tenere bene a mente.

Stiamo ancora cercando di capire se – o quando – le vendite dei motori a combustione caleranno. O se il movimento “flight shame” influirà sui profitti delle compagnie aeree. E in che misura questo impatterà sui produttori di materie prime.

Sono passati i giorni in cui i CEO potevano concentrarsi solamente sugli utili come unico indicatore del successo dalla propria azienda. Oggi devono tenere in considerazione anche l’impatto che le loro azioni possono avere sui propri dipendenti, sulla comunità e sull’ambiente.

Questo impone un profondo cambiamento filosofico. Il valore degli shareholder è ancora un fattore di vitale importanza per la condotta aziendale, ma non è l’unica questione che importa quando sia guarda a un orizzonte temporale di lungo termine.

La spinta sta arrivando da tutte le parti. È difficile trovare individui che difendano il business come lo abbiamo sempre concepito, e in realtà anche il capitalismo come principio. In qualità di investitori, dobbiamo adattarci alle realtà di oggi. E questo significa ripensare il vero scopo stesso dei nostri sistemi economici.