Un cambio di marcia per il cambiamento climatico

Di Tommaso Tassi, Head of Distribution, Italy Aberdeen Standard Investments

“Siamo la prima generazione che si trova a comprendere appieno il cambiamento climatico e l’ultima generazione che può fare davvero qualcosa per contrastarlo.”

Petteri Taalas, Segretario Generale, World Meteorological Organization (WMO), 2018

Viviamo in tempi davvero complessi. Come anche l’incredibile frangente legato alla diffusione del virus Covid-19 sta insegnando a tutto il mondo, e a noi italiani in particolare, le sfide sociali, ambientali ed economiche sembrano essere più correlate che mai. L’impatto dirompente che alcune tematiche legate alla sostenibilità della crescita economica avranno sulle nostre vite e sui nostri risparmi è destinato a perdurare e a cambiare profondamente il paradigma d’investimento da qui in avanti. Al di là di qualunque speculazione riguardo a ulteriori e imprevedibili sviluppi – impossibile ad oggi misurare l’impatto del Covid-19 sull’economia e sui bilanci delle società – intendiamo rimanere con i piedi per terra e non perdere di vista i nostri fondamentali goal di lungo periodo, che da tempo abbiamo maturato e trasferito nella nostra filosofia d’investimento.

Molte delle principali sfide del nostro tempo sono ormai ben chiare ai diversi attori sociali ed economici. Le Nazioni Unite sono andate incontro al mondo aziendale e all’investment community formulando un’agenda ben precisa, il Global Compact, per incoraggiare le aziende di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibili nel rispetto della responsabilità sociale d’impresa, a cui si aggiungono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals o SDGs delle Nazioni Unite), che mirano a risolvere un’ampia gamma di problematiche riguardanti lo sviluppo economico e sociale. In qualità di asset manager, ci sentiamo particolarmente coinvolti poiché le più importanti questioni che riguardano il pianeta richiedono soluzioni urgenti la cui risposta può arrivare proprio dai flussi di capitali privati. Fra le cinque macro aree che costituiscono la base degli UN SDGs, vi è il cambiamento climatico, forse il tema più dirompente dello scenario contemporaneo. Per riuscire a raggiungere gli obiettivi definiti nell’Accordo sul clima di Parigi del 2015,[1] si stima che gli investitori dovranno investire USD 1.500 miliardi l’anno[2] in progetti focalizzati sull’energia rinnovabile e in altri progetti a basso impatto di carbonio. Non solo: dovranno farlo entro il prossimo decennio.

Nel 2015, durante la Framework Convention delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Parigi (COP21), la maggior parte dei governi mondiali ha preso atto della necessità di evitare un cambiamento climatico pericoloso e ha assunto l’impegno di mantenere l’incremento della temperatura globale “ben al di sotto” dei 2°C (e idealmente entro 1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali.

Per avere una minima speranza di raggiungere questi obiettivi, sarà necessario ridurre drasticamente le emissioni di gas serra nel mondo entro il 2050. Si tratta di un’impresa decisamente ardua perché le emissioni di carbonio sono in costante aumento e, mantenendo lo status quo attuale, lo sviluppo economico e la crescita della popolazione nel mondo emergente le farebbero salire ulteriormente. Ma la transizione può essere vista anche come un’opportunità d’investimento: l’International Energy Agency (IEA) alza ulteriormente le stime, sostenendo che una transizione energetica in linea con l’Accordo di Parigi richieda investimenti per circa 3.000 miliardi di USD all’anno, soprattutto in energie rinnovabili ed efficienza energetica.

Secondo le previsioni, il settore dell’energia crescerà rapidamente per soddisfare la maggiore domanda dalle economie emergenti. Si tratta di un settore a elevata intensità di capitali e dunque questa combinazione di transizione verso l’impiego di energia a basso impatto di carbonio e crescita rapida comporta enormi requisiti di capitale. Ad oggi gli investimenti nell’energia rinnovabile a livello globale sono pari a circa USD 350 miliardi l’anno,[3] una cifra molto lontana dalle quelle sopra stimate. Per colmare questo divario sarà necessario un sostanziale incremento nell’allocazione dei capitali, che probabilmente dovranno provenire per la maggior parte da investitori privati. Al momento la stragrande maggioranza dei capitali impiegati per finanziare l’energia rinnovabile proviene già dal settore privato, meno del 10% dal settore pubblico.

Il cambiamento climatico comporta dunque risorse immense e diverse a seconda dei settori. Per ciascun settore e ciascuna regione, dobbiamo comprendere le potenziali conseguenze fisiche del climate change e le implicazioni della transizione verso fonti di energia a basso impatto di carbonio. Questo processo modificherà il profilo di rischio per molti degli asset in cui investiamo e, pertanto, rappresenterà una componente fondamentale del nostro processo decisionale sugli investimenti.

Per fare questo, dobbiamo poter comprendere in modo approfondito in che modo ciascuna azienda è esposta a rischi concreti relativi al cambiamento climatico, cosa ciascuna di esse intende fare per affrontare questi rischi e infine trasferire questo tipo di ricerca nella strategia di costruzione del portafoglio. Gli investitori non saranno in grado di colmare queste lacune a livello di allocazione dei capitali da soli. Siamo convinti che occorra un approccio analitico e metodico che si traduca in un processo di asset allocation strategica in cui le tematiche ESG saranno destinate ad avere un ruolo sempre più preponderante.

Secondo le nostre ricerche,[4] infatti, i fattori ESG sono e saranno tra i principali motori dei rendimenti a lungo termine e meritano per questo di essere integrati e tenuti in forte considerazione nel processo di asset allocation strategica. La nostra analisi mette in luce una possibilità interessante: il processo di asset allocation può essere modificato per costruire portafogli strategici con elevate allocazioni di capitale mirate a finanziare la transizione energetica, senza per questo sacrificare i rendimenti attesi ponderati per il rischio. Adottando tale approccio, gli investitori potrebbero contribuire a colmare il divario di finanziamento esistente senza compromettere i rendimenti degli investimenti.

Un’asset allocation strategica capace di integrare efficacemente i fattori ESG dovrebbe produrre rendimenti ponderati per il rischio migliori. A cui si aggiunge un’ulteriore opportunità: molte delle problematiche più complesse legate alla soluzione dei problemi climatici derivano proprio dall’insufficienza dei capitali investiti. Tramite il processo di asset allocation strategica è possibile iniziare a porre rimedio a questa situazione, in modo che gli investitori possano canalizzare i capitali per incrementarne l’impatto sul mondo reale.

Gli investitori devono realizzare che non rispondono solo passivamente alle forze del mercato, ma sono chiamati a svolgere un ruolo attivo nel plasmare un futuro più prospero e sostenibile. Si tratta di una svolta paradigmatica, ma anche della naturale evoluzione di quel cambiamento che ha portato in primo piano le tematiche ESG negli ultimi vent’anni. Abbiamo tutti un compito nel superamento di una delle questioni più urgenti per la sostenibilità della crescita futura, ovvero il cambiamento climatico; quello degli asset manager è particolarmente importante: finanziare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

[1] 21ª Conferenza ONU delle Parti (COP21) tenutasi a Parigi nel dicembre 2015.
[2] Special Report on Global Warming of 1.5°C, IPCC, ottobre 2018.
[3] Bloomberg New Energy Finance.
[4] Asset Allocation Strategica: rivoluzione ESG, Aberdeen Standard Investments, gennaio 2020.